Con queste scarne parole della madre, il mondo (francofono, francofilo) viene a conoscenza della morte di Mano Solo.
Ultimo (in ordine di tempo) di quella straordinaria scuola di 'chansonniers', Mano Solo (nato Cabut, figlio di quell'altro monumento della cultura francese che risponde allo pseudonimo di Cabu, uno dei più grandi vignettisti viventi) ha cantato la disperazione, la solitudine, la malattia (la propria, l'AIDS), la malinconia 'degli ultimi', con una voce graffiante più di un coltello, le parole più incisive di un bisturi.
Ma come i grandi del passato ha saputo anche essere tenero, dolce e profondamente innamorato della vita, e della sua Parigi.
L'ho scoperto (e amato) quando, nel novantaquattro, è diventato un caso con il suo primo 'la marmaille nue' dove sono già presenti tutti gli aspetti che lo hanno reso grande.
Un omaggio qui sotto:
E QUI invece un elogio funebre su Le Monde con diversi video.
voster semper voster
lunedì 11 gennaio 2010
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